POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, aprile 20

L'ULTIMA DIMORA DI ETO'O, MIGRANTE SENZA FINE di Padre MAURO ARMANINO

 


L’ultima dimora di  Eto’o, migrante senza fine


Era chiamato familiarmente Eto’o dai compagni viaggio, come il noto giocatore di calcio camerunese. Anche lui, Feliciano, era originario dello stesso Paese e, a suo modo, era famoso nell’ambito delle migrazioni. Partito in fretta per l’Algeria poi dalla Tunisia che aveva raggiunto, si era recato a Dubai e, da lì tornò al suo Paese natale. Ripartito per Dubai una seconda volta aveva conosciuto espulsione col ritorno forzato al Camerun. Dopo qualche tempo, mosso da qualcosa di indefinibile, aveva raggiunto il Ghana e successivamente, con l’amico Giovanni, il Togo anch’esso adagiato sulle coste atlantiche. La voce che li chiamava si trasformava una volta di più in una irresistibile seduzione e, con l’amico hanno raggiunto la frontiera dell’Algeria. Vista la repressione delle autorità algerine nei confronti dei cercatori di utopie, hanno scelto di tornare indietro sullo stesso cammino dell’andata. Giunti a Niamey si sono sommariamente presentati agli altri residenti della diaspora camerunese e si sono in seguito eclissati in uno dei quartieri.
Eto’o ha cercato di curare i dolori atroci che sentiva al dente. In seguito all’assunzione forse esagerata di medicinali antidolorifici venduti in strada è stato costretto a usufruire delle cure di una clinica privata della zona. Nel frattempo, le sue condizioni di salute peggioravano e, oltre ai dolori intestinali si era prodotto un blocco renale che rendeva la sua situazione disperata. Raggiunto il Servizio Migranti ormai moribondo è stato accompagnato all’ospedale universitario e operato d’urgenza. Era però troppo tardi e Feliciano è morto all’età di 37 anni a Niamey da due giorni. Il feretro di legno compensato con apposta una croce sulla parte superiore è già pronto. La tomba è stata scavata nel nuovo cimitero cristiano della capitale e solo si aspetta che qualche membro della famiglia lo raggiunga per seppellirlo nella capiente e umile sabbia del Niger. Una croce porterà scritto il nome, la data di nascita e quella del transito migrante più impegnativo. Lui, Eto’o, che ha fatto della sua vita una migrazione e della migrazione la sua vita si è fermato a Niamey.
Oppure no. La casa a forma di tomba scavata nella sabbia carezzata dal vento e seccata dal calore della stagione è l’ultima per chi pensa che la migrazione di Eto’o sia terminata. Molti che l’hanno conosciuto giurano che non è così. Proprio adesso che tutto sembra finito è invece iniziato per Feliciano il viaggio verso ciò che ha sempre sperato, creduto e cercato. Una dimora nella quale i Paesi, le frontiere e il colore del mare si mescolano con le lacrime di gioia di chi ha raggiunto, finalmente, ciò che molti non osano più immaginare. Nel silenzio che circonda il cimitero, il vento porta lontano la speranza che Eto’o ha camminato e che altri incauti avventurieri abiteranno nella sognata terra della libertà.



                    Mauro Armanino, Niamey, aprile 2024                                                              

mercoledì, aprile 17

IL CANTICO DEI CANTICI DI ALESSANDRO NASTASIO A VILLA CLERICI - MILANO

 



Il pittore italiano Alessandro Nastasio è nato a Milano nel 1934. La sua carriera artistica è segnata dall’insegnamento, al quale si dedica per circa trent’anni in diversi istituti d’arte.
Le opere di Alessandro Nastasio sono evocative e delicate, con un forte richiamo alla storia, alla mitologia e agli eventi raccontati all’interno della bibbia. Realizza xilografie, acqueforti e linoleografie, che vengono presentate in diverse mostre.
Si ispira alle tecniche innovative degli artisti degli anni ’60, accogliendo i consigli di Lucio Fontana, De Chirico e Giacometti. E’ considerato come un’importante esponente dell’arte contemporanea, che interpreta nel proprio particolarissimo modo. Immagini allusive e fiabesche sono avvolte da colori chiari e sfumati, che trasmettono il concetto di sacralità.
Realizza importanti collaborazioni con famosi architetti come Ponti, Figini e Pollini, Carli e Selleri, attirando l’attenzione di un pubblico sempre più vasto. Nel corso degli anni ha avuto la possibilità di esporre diverse mostre personali sia in Italia che all’esterno.
Riferendoci all’ultimo periodo, è importante citare: “Incontri e suggestioni verdiane” (2013, Spazio Oberdan, Milano e Trezzo sull’Adda); "Porta Fidei” (2014, Portale Bronzeo), “SS. Martiri Nazaro e Celso” (2015). Attualmente, l’artista vive e lavora a Milano nel suo atelier in via Eustachi, continuando la propria personale ricerca artistica.
Dal Portale 

Alessandro Nastasio, una vita per l’arte alla ricerca del vero e del bello
Alle soglie dei 90 anni, Regione Lombardia omaggia l'artista milanese con una mostra antologica a Palazzo Pirelli a Milano. Le sue opere oggi sono in luoghi pubblici, in collezioni e chiese in tutto il mondo. I testi biblici sono spesso la sua fonte di ispirazione: «Sono come un naufrago che si aggrappa a Cristo», dice di sé.
di Luca FRIGERIO
22 Settembre 2023
Con l’avanzare dell’età può capitare che l’ispirazione si inaridisca, che la pigrizia porti a ripetere modelli collaudati, che per il quieto vivere ci si rifugi in proposte rassicuranti. Non è il caso di Alessandro Nastasio. Che alle soglie dei 90 anni – lui è della classe 1934 – continua instancabilmente a creare e produrre, cose nuove e diverse, originali e sorprendenti: provocatorie, perfino. Il suo segreto? La passione. Per la vita, prima ancora che per l’arte. Che poi, per lui, sono in fondo la stessa cosa.
I nostri lettori conoscono bene il nome di Nastasio. Perché l’artista milanese è amico di lunga data della stampa diocesana, e da molti anni ormai a Natale e a Pasqua, come anche in altre occasioni particolari, ci omaggia di una sua opera inedita. Ma in realtà la sua firma è una delle più note e apprezzate del panorama artistico contemporaneo, anche internazionale. Merito di un’intensa e proficua attività – «carriera», si potrebbe dire, ma l’interessato non gradirebbe – che ha attraversato la seconda metà del Novecento arrivando fino ai nostri giorni, tra committenze pubbliche e private, lavori sacri e profani, ma sempre di forte impegno.
Dopo numerosi riconoscimenti, oggi è Regione Lombardia a celebrare Alessandro Nastasio con un’ampia mostra antologica presso lo Spazio eventi di Palazzo Pirelli a Milano, in corso fino al prossimo 5 ottobre. Il titolo, «La ricerca del vero e del bello», riassume bene il lungo percorso artistico di quest’uomo solare e curioso, capace di impastare colori e ironia, fondendo filosofia e teologia, plasmando umanesimo e utopia.
Come un moderno maestro rinascimentale, infatti, Nastasio in oltre settant’anni di artistica laboriosità si è cimentato con le tecniche più diverse, dalla pittura all’incisione, dall’intaglio al disegno, spesso divertendosi a «mischiare» materiali e forme differenti per ottenere effetti insoliti e risultati inattesi. Così Alessandro da Milano, con segno personalissimo, ha cercato di dare corpo e immagine alle emozioni più profonde, ai sentimenti più intimi, alle verità nascoste: secondo la sua sensibilità, certo, ma dando voce anche a questo nostro tempo, così confuso, così smarrito, così bisognoso di una parola di speranza.
Ancora adolescente è stato allievo di Kodra. Poi ha lavorato con Figini e Salvadori, insieme a Sarra e a Purificato, confrontandosi con Fabbri, Manzù, Marini, Minguzzi e gli altri protagonisti della scena artistica italiana negli anni Sessanta e Settanta. Mostrando il suo talento in rassegne ed esposizioni, in Italia e all’estero, e offrendo quindi la sua esperienza in molti anni di insegnamento, all’Accademia di Brera e in vari istituti d’arte. Le sue opere, oggi, sono in importanti collezioni private, ma anche nelle piazze e nelle chiese di tante città, in tutto il mondo.
Lo sguardo divertito, la battuta pronta, Nastasio è un giovanotto dalla barba bianca che gioca spesso, ma senza prendere in giro nessuno. Tutt’altro. Il suo è un serio ludere, come dicevano gli antichi. Un divertissement per raccontare questioni importanti con tono leggero, un espediente per andare al fondo delle cose senza sentirsi oppressi dall’abisso in cui ci si sta calando.
Un esempio, tra i tanti? I suoi «Alfabeti». Ci sono parole che lasciano il segno, che plasmano il vivere. E parole inutili, vuote, più inconsistenti del fumo. Nastasio ci mostra l’«Alfabeto celeste», che poggia su piedi torniti, di biblica memoria: i calcagni che calpestano la serpe, simbolo di malvagità, mentre si alza la preghiera, un’invocazione che sale fino al cielo, rosario di mormorate parole. Diverso, opposto, contrario è invece l’«Alfabeto logoro»: qui nulla si eleva, ma le lettere precipitano in una melassa collosa, si disfano, si liquefanno. Parole prive di significato, destituite di senso. Parole in libertà, a nascondere l’inconsistenza mentale, il nulla interiore.
E poi c’è un’altra Parola, quella sacra, quella divina, che è spesso protagonista delle opere di Nastasio, affascinato dalle pagine bibliche (il Qoèlet, il Cantico dei cantici e i Vangeli, soprattutto), che ha avuto come compagno di ricerca anche il cardinal Ravasi.
«Da sempre cerco la Luce, e mi pare di vederla, ma così come si vede il sole fra i rami scuri di un albero», ci ha confidato ancora recentemente. Dicendoci, Nastasio, di sentirsi come uno di quei «naufraghi» che ha raffigurato così spesso nelle sue opere: condizione esistenziale, peraltro, comune a tutti gli uomini. «Ma sono un naufrago – ha aggiunto – che vuole aggrapparsi a quella zattera che è Cristo. Ecco, forse la chiave di tutto sta nell’Incarnazione del Verbo che ha permesso all’Invisibile di rendersi visibile, nel molteplice che si ricongiunge nell’Uno. Vero uomo e vero Dio è il volto di Cristo che cerco. Dipingendolo come in uno specchio, con tutti i miei limiti, come un accattone che raccoglie briciole di Bellezza». Buon lavoro, maestro!
Proseguo con un altro articolo di Luca Frigerio:
018/04/2008
di Luca FRIGERIO
Dodi, mio amato, mia diletta. Per oltre trenta volte questo dolce vezzeggiativo risuona nel Cantico dei cantici, cioè il cantico per eccellenza, quello più bello, inno all’amore di straordinaria intensità e di ineguagliata poesia. «Il mondo intero non è degno del giorno in cui il Cantico è stato donato a Israele», affermava colmo di meraviglia, quasi duemila anni fa, rabbì Aquila , uno dei maestri del Giudaismo. «Magna Charta dell’umanità » è tornato a definirlo nel nostro tempo il grande teologo protestante Karl Barth. Un poemetto lirico solo apparentemente “avulso” dal resto dei testi biblici, e invece ammantato di autentica religiosità, perché parla della condizione umana magnificandone uno degli aspetti essenziali, il rapporto fra l’uomo e la donna, allegoria dell’alleanza stessa fra il Creatore e la sua creatura.
A dare vita e forma artistica agli evocativi versetti del Cantico dei Cantici è oggi Alessandro Nastasio, attraverso venticinque xilografie di ammaliante bellezza, che sono state presentate a Milano presso la basilica di San Babila con un’introduzione di monsignor Gianfranco Ravasi. Immagini vigorose, sensuali, vivacissime, capaci di rendere fin dal primo impatto visivo tutta la vitalità, e perfino la fisicità, del sapienziale componimento attribuito a Salomone. Con segno essenziale, potentemente espressivo, dalla comunicatività immediata, e tuttavia con poetica levità.
Non è occasionale l’interesse di Nastasio per la pagina biblica. L’artista milanese, classe 1934, nella sua lunga e prolifica carriera si è infatti confrontato con le tribolazioni di Giobbe, con gli ammonimenti di Qoèlet, e soprattutto con il Vangelo giovanneo, da dove ha tratto la consapevolezza stessa della sua arte, che è per sua stessa natura “incarnata”, secondo il Mistero di un Dio che si è fatto uomo per amore. Tanto gli basta, così, per rivendicare una sua originale e convincente ricerca, tenendosi alla larga da edulcorate immaginette devozionistiche quanto da inconcludenti figurativismi astratti: illustrazioni, le une e le altre, che sotto una smaccata pretesa di religiosità spesso non hanno nulla di veramente sacro . Né di umano, infine.
Dal Cantico dei cantici Alessandro Nastasio spreme dunque il “succo”, dolce dei baci e degli abbracci dei biblici sposi, pieno delle quotidiane occupazioni, pungente dei timori per l’amato bene. Così che ogni opera appare in realtà come divisa in due parti, alto e basso, nella rappresentazione dell’azione e del pensiero, del positivo e del negativo, delle cose terrene e di quelle celesti. Senza però dualismi manichei né forzate contrapposizioni, riconducendo invece il tutto a quella divina armonia che solo l’amore può interamente ricreare.
Ma queste tavole, tirate da matrici in legno di tiglio che il nostro maestro ha inciso con gusto artigiano, prima ancora che con artistica abilità, colpiscono soprattutto per l’esuberanza dei colori. Blu marini, gialli solari, rossi infuocati, verdi smeraldini, accostati seguendo le vibrazioni e i sussulti del dialogo fra i due biblici sposi, facendo compartecipare lo spettatore alla
medesima gioia, con la stessa emozione. E non è solo la suggestione del testo, crediamo. È come se Nastasio, generoso artisticamente e umanamente, con il passare degli anni e l’avanzare dell’età, a differenza di molti suoi colleghi che si chiudono e imprecano, vada scoprendo una ritrovata serenità, una rinnovata gioia di vivere. Contagiosa, speriamo.
Le 25 matrici xilografiche su legni di tiglio
che illustrano il Cantico dei Cantici,
incise con sgorbie da Alessandro Nastasio,
sono in mostra fino al 19 aprile a Milano
presso la Sala Ceriani (Corso Venezia, 2/A),
dalle ore 16 alle 19.
Tirate in 33 esemplari, sono introdotte da monsignor Gianfranco Ravasi
e presentate da Alberico Sala.
Dopo la chiusura della mostra sarà possibile comunque
contattare Alessandro Nastasio nel suo atelier a Milano,
in via Eustachi 22.
Aggiungo una serie di fotografie scattate presso Villa Clerici a Milano, dove si è svolta la recente mostra dell'artista!














Ed ora   facciamoci un giretto nello splendido giardino di  Villa  Clerici














In questo blog ho pubblicato molte altre opere dell'artista.  Qui il link del dono meraviglioso che ho ricevuto a sorpresa dall'autore:


Se digitate il nome Alessandro Nastasio nel sullo spazio della home page di Versi in Volo, troverete tutto il resto che ho pubblicato dell'artista. 
Ringrazio dal profondo il Poeta, insegnante e critico letterario Prof. Roberto Vittorio Di Pietro per avermi messo in contatto con il Maestro di cui stiamo parlando.
Sono convinta che le vie del Signore sono davvero infinite!
Danila Oppio

lunedì, aprile 15

GEOPOLITICHE DI SABBIA NEL NIGER E DINTORNI di P. MAURO ARMANINO



Geopolitiche di sabbia nel Niger e dintorni

Nelle definizioni la geopolitica è lo ‘studio dei rapporti tra i fattori geografici e le azioni o le situazioni politiche’. Dette relazioni non sono qualcosa di meramente ‘contemplativo’ quanto finalizzate ad un potere militare, politico, economico e culturale. Nel nostro Paese il Niger e nei dintorni, entrambi i fattori in gioco sono essenzialmente costituiti dalla ‘sabbia’. La geografia e la politica, in un contesto di concorrenza o egemonia per il potere, si articolano e sviluppano attorno a questo elemento unico che ne definisce l’identità e l’immaginario. Il putsch di fine luglio dell’anno scorso era stato lui stesso di sabbia e, strada facendo, le scelte operate dalla giunta militare al potere, non hanno fatto che confermare e rendere più certa questa evidenza. L’Alleanza degli Stati del Sahel, Burkina Faso, Mali e Niger. L’annunciata fuoriuscita dal consesso della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale.  L’espulsione dei militari francesi e americani con le rispettive basi dal territorio nigerino sono andate di pari passo con trattati di cooperazione militare, tecnica ed economica con la Federazione Russa. Le bandiere di quest’ultima, apparse in modo quasi aneddotico fin dall’inizio delle manifestazioni pro-giunta, non erano dunque casuali. 
L’idea di sovranità, rivista, tradotta e applicata in questi mesi, continua ad apparire come idea motivante di una parte della società civile e del popolo stesso. Anni di frustrazione, di svendita del Paese all’Occidente e di violazione dei dettati costituzionali in particolare nell’ultimo decennio, hanno facilitato il processo di dissoluzione delle istituzioni per lasciare il posto al un ‘regime di sabbia’. Quest’ultimo, accaparratosi del potere grazie alla detenzione del presidente nella sua dimora, ha operato le scelte di cui sopra senza che la tanto decantata sovranità del popolo sia stata presa in considerazione. Un popolo che la sabbia ha creato, modellato, formato e reso a sua immagine e cioè silenzioso, resiliente e capace di sopravvivere in ogni circostanza e prova. Un popolo di sabbia che osserva, giudica, soppesa i regimi che si susseguono nella sua storia e, reso cosciente dalla sofferenza e le privazioni, custodisce il sapore antico della dignità. Proprio quest’ultima, confiscata da una elite politica che il potere ha corrotto e reso servile alle geopolitiche occidentali, ha trovato l’opportunità di risorgere dalla dimenticanza nella quale era stata sepolta. Non accada, dunque, che venga una volta di più tradita da chi pensa di detenere la chiave della verità.
Ognuno, nel Sahel come altrove nel mondo, fa il suo gioco e cerca i propri interessi. Di questo parlano e raccontano le geopolitiche di sabbia che si fanno concorrenza e che prendono questa porzione d’Africa come luogo di un’altra spartizione di potere o corsa per chi svilupperà la propria influenza. Di certo il Sahel non è semplice vittima o passivo osservatore della nuova identità regionale quanto interessato attore fin dove e quanto esso è possibile. Persino l’Italia, nel suo piccolo, con la presenza diplomatica, militare e di cooperazione, cerca di ritagliare la propria giustificata presenza nel Sahel. La retorica del ‘controllo’ o quanto meno di una certa canalizzazione dei movimenti migratori rimane un miraggio. I Paesi confinanti il Niger, in effetti, persistono e radicalizzano le politiche di esclusione, deportazione o internamento dei migranti nel loro spazio nazionale. In tutto questo infernale gioco che porta alla sconfitta annunciata dei popoli, permane lo spazio esiguo; eppure, decisivo per ciò che da tempo la congiura del sistema ha espunto. Si tratta del ritorno all’ascolto del silenzio dei poveri che la sabbia, nella sua umiltà, ha nascosto ai potenti e ai saggi che organizzano le geopolitiche che torneranno alla sabbia da cui sono nate.




Momenti di catechesi infantile per riunione con adulti


              Mauro Armanino, Niamey, 14 aprile 2024

domenica, aprile 7

IL FUTURO DEL PASSATO O IL PASSATO DEL FUTURO: A NOVE MESI DAL PUTSCH di P. MAURO ARMANINO


Il futuro del passato o il passato del futuro: a nove mesi dal putsch

Da fine luglio dell’anno scorso ad aprile di quest’anno sono passati nove mesi, il tempo di una gestazione. Arrivato relativamente inaspettato il putsch dei militari ha sorpreso soprattutto per la modalità utilizzata nella circostanza. Il sequestro del presidente in carica nella casa presidenziale ad opera della guardia che avrebbe dovuto proteggerlo da questo e altri tentativi di golpe. Il ritmo ciclico dei colpi di stato nel Niger evidenzia i bloccaggi nell’esercizio del patto democratico tra i partiti politici e la ‘leggerezza’ delle istituzioni che dovrebbero garantirlo. Tra queste non si può non citare i militari che fin dall’inizio della Repubblica hanno giocato un ruolo determinante nell’assetto democratico o meno del Paese. Nove mesi di sabbia per una gestazione, anch’essa, di sabbia. Quella che si adagia, compiaciuta, sulle strade quasi quotidianamente ripulite dagli addetti del comune e che torna, puntualmente, allo stesso posto il giorno seguente.

Anche la politica adottata nella transizione sembra, naturalmente, di sabbia. Sono gradualmente sparite le bandierine tricolori del Paese, portate in giro dai taxi e dai più numerosi e pericolosi tricicli. Anche le oceaniche dei primi giorni allo stadio e i presidi delle rotonde hanno gradualmente lasciato il posto alla testardaggine della vita quotidiana. La riapertura delle frontiere e la levata delle sanzioni ad opera della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, non ha riportato quel sollievo che la povera gente e gli imprenditori economici attendevano. La piroga e le estorsioni istituzionalizzate continuano ad essere il mezzo che unisce le due rive del fiume Niger alla frontiera col Benin. Cacciati i militari francesi e fattisi discreti i pochi civili rimasti, è stata la volta dei militari americani ad essere invitati ad andarsene. Rimangono, discreti e in attesa di futuri equilibri diplomatico-economici, i militari italiani sul posto.

L’Alleanza degli Stati del Sahel, AES in abbreviato, che comprende Il Mali, il Burkina Faso e il Niger, i Paesi più colpiti dal terrorismo, banditismo e affarismo, si vuole come una risposta politico-militare alla drammatica situazione di insicurezza delle popolazioni. Gli sfollati, in questa porzione del Sahel, si contano a milioni e le condizioni di vita di migliaia di contadini sono al limite della sopravvivenza. La carestia temuta e, purtroppo, da anni ‘istituzionalizzata’, tocca una porzione importante del popolo. Le scelte politiche legate all’assolutizzazione del concetto di ‘sovranità nazionale’ e ‘autarchia’ hanno comportato conseguenze e ‘ricadute’ sulla gente non sempre prese in debito conto. Il punto forse cruciale della transizione/gestazione di questi mesi si trova nella difficoltà a trovare il nucleo del progetto politico che anima il presente. Esso, per non tradire il principio ‘realtà’, dovrebbe mettere al centro il ‘bene comune’ e cioè la giustizia per i poveri. Onde evitare di riprodurre il passato nel futuro è stata inventata la politica e soprattutto la democrazia. 



               
Mauro Armanino, Niamey, aprile 2024


lunedì, aprile 1

LA PASQUA, DI SABBIA, DI NIAMEY, di P. MAURO ARMANINO

    La Pasqua, di sabbia, di Niamey

Questa festa interessa le poche migliaia di cristiani che vivono in città e dei quali la maggior parte è originaria dei Paesi della costa atlantica che il commercio degli schiavi rese famosa e temuta. C’è in cambio il ‘lunedì di Pasqua’ che il calendario ufficiale delle festività riconosce, assieme al Natale, a livello nazionale. Sono le due festività accolte, almeno finora, nel calendario dello Stato. Si tratta di una Pasqua di sabbia, precaria e fragile come si conviene e in sintonia con la transizione che il Niger abita da fine luglio dell’anno scorso. E’ la conseguenza del colpo di stato che ha deposto e imprigionato nel palazzo presidenziale l’eletto in circostanze dubbiose Mohammed Bazoum. Anche la transizione del Paese è di sabbia. Azzardarsi a domandare la meta del viaggio significa esporsi ad un imbarazzante silenzio che la polvere copre di pudore. Il sentiero che il Niger e l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) percorrono è ancora poco frequentato.

Eppure, nel suo piccolo, la festa di Pasqua è latrice di un messaggio, difficile a decifrare nel contesto, di una liberazione possibile per tutti. Se Pasqua indica, nell’etimologia popolare, ‘passaggio’ allora l’avvenimento pasquale che la festa attualizza, indica almeno due liberazioni conseguenti. La prima ricorda il mito fondatore del popolo di Israele che, tramite un esodo durato anni, abbandona la terra della schiavitù del Faraone d’Egitto per rischiare l’indigenza e l’incertezza della libertà. Il cammino nel deserto, tra stenti, paure e tentazioni di un ritorno al passato che rassicura, diventa la metafora della transizione attuale del popolo nigerino. Come per il popolo di Israele la realtà degli idoli fabbricati continua a sedurre l’immaginario della gente e in particolare dei ‘capi’. Il potere, il prestigio e l’arroganza del dio denaro sono l’attuale vitello d’oro che il popolo si è fabbricato nel deserto. L’acqua della roccia è difficile a trovare.

C’è poi l’altra liberazione possibile, ancora più pericolosa per il disordine stabilito, che, in relazione con la Pasqua afferma che i sepolcri si sono svuotati e le tombe sono trasformate in giardini. Questa seconda promessa di liberazione è ancora più sovversiva della precedente perché, dopo il silenzio della notte e all’albeggiare, ci si accorge che l’anelito per un mondo nuovo non era vano. Ciò significa che la violenza, la menzogna del potere, il cinismo dei commercianti di parole e d’armi, i fabbricanti di illusioni e gli imprenditori del sistema di dominazione, sono finalmente inermi e spodestati. Le tombe dei cimiteri nelle quali i potenti volevano chiudere la storia umana, litania infinita di guerre e ribellioni al sistema, sono svuotate. Le pietre che le coprivano servono ormai per costruire il mondo assente che tanti cercavano a tastoni. Passare dalla schiavitù fisica e mentale, ricordava un certo Bob Marley, è proprio ciò che permetterà di cantare assieme agli amici resi liberi, il suo ‘Redemption Song’, il canto della libertà, di sabbia.

Mi aiuterai a cantare

Questi canti di libertà?

Perché tutto quel che ho sempre avuto

Sono i canti di redenzione,

Tutto quel che ho sempre avuto

Sono i canti di redenzione

Questi canti di libertà,

Canti di libertà

Mauro Armanino, Niamey, Pasqua 2024



mercoledì, marzo 27

LE PALME DI POLVERE A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO

 

                       Le palme di polvere a Niamey

Le nostre palme sono di polvere come Il governo di transizione del Niger che ha decretato tre giorni di lutto nazionale. 23 i militari uccisi e diciassette quelli feriti il passato mercoledì nella zona delle tre frontiere, Mali, Niger e Burkina Faso. Secondo il bilancio ufficiale del ministro della difesa, anche varie decine di ‘terroristi’ hanno perso la vita. La Domenica delle Palme impolverate e insanguinate di Niamey. Proprio quello che è accaduto al vescovo Oscar Romero lo stesso giorno di tanti anni fa. Era il 24 marzo del 1980 e la palma del vescovo si è tinta del colore liturgico della festa odierna. Anche l’anno scorso, secondo l’agenzia vaticana Fides, la maggior parte dei missionari martiri si trova nel continente africano. Si tratta di un privilegio che conferma, in modo autorevole, quanto la testimonianza del vangelo sia ormai il pane quotidiano di innumerevoli cristiani. La palma del martirio ha trovato una mano africana.
Le nostre palme sono di polvere come la vita della povera gente che inneggia al Messia liberatore da ogni oppressione e inganno. Impolverate come le speranze perdute e ritrovate là dove nessuno le attendeva. Il nostro Paese, il Niger, è ancora negli ultimi posti nel recente rapporto pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per le Sviluppo, il PNUD. Ci riviene la palma di consolazione per l’ennesimo anno consecutivo. Una palma impolverata da promesse non mantenute, da paradisi umanitari mai realizzati e da colpi di stato militari a scadenze regolari che realizzano la profezia del ‘Gattopardo’ di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Perché nulla cambi deve cambiare tutto ed ecco che la profezia si auto avvera. Adesso spira il vento della sovranità nazionale, reale e non surrogata da decenni di larvato neocolonialismo travestito da aiuti. Le speranze autentiche si trovano là dove è difficile immaginarle, nella debolezza e fragilità degli ultimi.
Le nostre palme sono di polvere come il silenzio di coloro che, dopo aver creduto in un mondo nuovo hanno la stoltezza di continuare a sperare in un domani differente. Le palme della domenica a Niamey si portano durante il mese del Ramadan ormai avanzato. In esso i credenti musulmani praticano il digiuno dello stomaco, del male e si adoperano per condividere coi poveri i loro averi. Sono palme che si passano accanto senza darlo a vedere, l’una di polvere e l’altra di sangue, per il lutto nazionale a causa dei militari uccisi dalla follia di morte che si è propagata nel Sahel. Le lacrime delle famiglie che hanno perduto i figli in una guerra mai dichiarata e la lettura della passione che racconta dell’assassinio di un innocente tra le palme della croce. Qui da noi le palme sono di polvere e non potrebbero essere altrimenti per solidarietà col luogo e col tempo. Sono i bambini che, durante la preghiera, hanno intrecciato per gioco le palme a forma di croce.


                             
Mauro Armanino, Niamey, Domenica delle Palme 2024


sabato, marzo 23

UN MONDO POLARIZZATO DISUGUALE E PERICOLOSO di Padre MAURO ARMANINO


Don Chisciotte della Mancia    -   Pablo  Picasso  

                                
Un mondo polarizzato, disuguale e pericoloso

… Possiamo fare di meglio. Meglio dei cambiamenti climatici e delle pandemie fuori controllo. Meglio di un'ondata di trasferimenti di potere incostituzionali in un contesto di populismo crescente in tutto il mondo. Meglio di una cascata di violazioni dei diritti umani, meglio del massacro sfacciato di persone nelle loro case e nei loro luoghi di vita, negli ospedali, nelle scuole e nei campi dei rifugiati. Dobbiamo fare meglio di un mondo costantemente sull'orlo del collasso, un castello di carte socio-ecologico. Lo dobbiamo a noi stessi e agli altri, ai nostri figli e ai loro figli … (Dal ‘Rapporto sullo sviluppo umano 2024’, PNUD)
Nel frattempo, ci si riarma come non da tempo non accadeva. Senza inibizioni di sorta si torna a far parlare le guerre come unica strategia di risoluzione dei conflitti internazionali e locali. La radice di tutti i mali, la dimenticanza, sembra aver preso il potere nell’immaginario culturale e politico dei popoli. Senza la memoria delle macerie e del deturpamento irreversibile dei volti umani tutto ridiventa possibile. Le parole, espressione del pensiero e della visione del mondo che l’accompagna, si trasformano in armi di distruzione totale. Hiroshima e Nagasaki hanno gradualmente smarrito, col passar degli anni e dei testimoni, di essere un baluardo simbolico alle efferatezze umane. Forse non si è imparato nulla dalle sofferenze degli innocenti e le forze del male assoluto tornano a sedurre gli spiriti da tempo svuotati e espropriati dalla mercificazione del sistema capitalista. Uscire dal vicolo cieco nel quale è piombato il mondo è il titolo del rapporto.
Lo sviluppo umano, per le sue analisi, prende in considerazione tre aspetti. La speranza di vita, l’educazione e il reddito procapite dei cittadini. Questi fattori, combinati assieme e messi in relazione forniscono elementi di comprensione nell’ambito dello sviluppo umano integrale. Nove dei dieci Paesi nei quali lo sviluppo umano è più debole si trovano nell’Africa sub sahariana. Si tratta della Sierra Leone, il Burkina Faso, il Burundi, il Mali, il Ciad, il Niger, la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan e la Somalia. Unico Paese extra africano è lo Yemen. Il rapporto del PNUD ricorda che i Paesi a governo populista presentano un tasso del Prodotto Interiore Bruto più debole degli altri Paesi. Il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di risiedere da ormai 13 anni, continua, secondo l’indice del rapporto, a conservarsi fedelmente tra gli ultimi posti del pianeta. Ci si è gradualmente abituati a guardare la realtà dal basso che poi è un luogo di verità in quanto rivelatore del tipo di mondo che ci troviamo ad abitare. 
 Un mondo polarizzato, disuguale e pericoloso recita il sottotitolo del rapporto citato. Polarizzato nel senso che si trova diviso all’interno come all’esterno tra minoranze abbienti e masse escluse, marginalizzate o semplicemente ‘zavorra’ del sistema globale di apartheid. La polarizzazione è frutto e radice della graduale sparizione dei poveri e non della povertà. Le disuguaglianze si esprimono anche e soprattutto tramite le frontiere che di esse sono forse la metafora più eloquente. Frontiere economiche, politiche, culturali, religiose e simboliche. Un pezzo di carta e un visto possono radicalmente cambiare l’identità e il futuro di una persona. Le detenzioni, le deportazioni e i rimpatri forzati sono una delle espressioni più amare delle disuguaglianze umane. 
Un mondo pericoloso ricorda il rapporto. Pericoloso come, per chi e per quanto … Si vive, non da oggi, in questa continua strategia del ‘terrore’, ostaggi di paure, minacce, epidemie, guerre, carestie e mostri che ogni epoca inventa. Non tarderà dunque ad apparire, come da copione, il don Chisciotte della situazione che, col fedele scudiero che inutilmente cercava di farlo ravvedere, si batteva contro i mulini a vento come i nemici da abbattere. Facciamo invece nostre le parole di Rosa Luxemburg che diceva…’io mi sento a casa mia dappertutto in questo vasto mondo, posto che siano nubi, uccelli e lacrime’.




              Mauro  Armanino, Niamey, 24 marzo 2024